Diffamazione aziendale sui social network: come tutelarsi

Nel contesto digitale contemporaneo, la reputazione di un’impresa non si costruisce più soltanto attraverso la qualità dei suoi prodotti o servizi, ma anche – e sempre di più – attraverso ciò che viene detto (e scritto) online. In particolare, i social network rappresentano oggi un potente strumento di comunicazione che, se mal gestito o utilizzato in modo scorretto da terzi, può diventare veicolo di danni gravi all’immagine e alla credibilità dell’azienda.
Quando si configura la diffamazione online?
Ai sensi dell’art. 595 del Codice Penale, si ha diffamazione quando, comunicando con più persone un soggetto offende l’altrui reputazione. La giurisprudenza ha ormai chiarito che i social network costituiscono mezzi idonei a integrare la fattispecie aggravata del reato, e quindi comportare pene più elevate, in quanto consentono la diffusione del messaggio a un numero potenzialmente illimitato di utenti. Post, commenti, recensioni e persino pubblicazioni pseudo-autobiografiche possono, in determinati casi, integrare gli estremi del reato, soprattutto se contenenti:
- accuse infondate di scorrettezze aziendali,
- insinuazioni lesive della professionalità dei dirigenti o della correttezza dei rapporti con dipendenti e collaboratori,
- attribuzioni di fatti non veri o distorti, con chiaro intento denigratorio.
Va chiarito che la critica, anche aspra, è sempre lecita: ciò che rende illecita una comunicazione è il superamento del confine tra opinione e offesa, tra racconto soggettivo e attribuzione di condotte gravemente disonorevoli prive di riscontro oggettivo.
Quali tutele ha l’azienda?
Le imprese oggetto di contenuti diffamatori possono attivare due principali forme di tutela:
Tutela penale
È possibile presentare querela per diffamazione aggravata entro 3 mesi dalla pubblicazione o dalla scoperta del contenuto diffamatorio. Oltre alla sanzione penale per l’autore, ciò può anche avere un effetto dissuasivo su condotte future.
Tutela civile
L’impresa può agire per il risarcimento del danno all’immagine e alla reputazione entro il termine prescrizionale di 5 anni. Tuttavia, a differenza del procedimento penale, in sede civile occorrerà provare in modo puntuale l’esistenza e l’entità del danno subito, nonché il nesso causale con il contenuto diffamatorio (ad es. perdita di contratti, danno alla clientela, calo di fatturato, ecc.).
Strumenti operativi immediati
Nel caso in cui il contenuto diffamatorio sia pubblicato su un social network (es. LinkedIn, Facebook, Instagram), è possibile agire direttamente sulla piattaforma con una segnalazione formale del contenuto ritenuto offensivo. I social offrono opzioni di:
- rimozione del post,
- limitazione della visibilità,
- sospensione dell’account dell’autore.
Ove ciò non sia sufficiente, è possibile inoltrare una segnalazione scritta alla sede legale della piattaforma, anche a mezzo PEC o raccomandata.
Focus: LinkedIn e reputazione professionale
Un’attenzione particolare va posta ai contenuti diffusi su LinkedIn, piattaforma a carattere professionale. I post pubblicati in questo contesto hanno un impatto reputazionale ancor più rilevante, in quanto rivolti a una rete di contatti lavorativi e business-oriented. Proprio per questo motivo, affermazioni apparentemente neutre o "narrative", se inserite in un contesto allusivo o accusatorio, possono causare rilevanti danni di immagine.