Forum della Lombardia di Unicredit – Edizione 2014
Intervento dell’avv. Nicla Picchi, introduttivo al FORUM DELLA LOMBARDIA di Unicredit, Milano, Edizione del 2014.
Questo è il secondo Forum al quale ho l'onore di partecipare in veste di Presidente del Consiglio di Territorio della nostra regione.
Come lo scorso anno, scopo del mio intervento è quello di introdurre il tema dell'incontro di oggi, e di motivare le ragioni della sua scelta.
Perché "la sfida della crescita"? E perché occuparci della digitalizzazione e del fattore dimensionale delle imprese?
Per rispondere a queste domande dobbiamo in primo luogo focalizzare la nostra attenzione su due concetti centrali nel nostro presente: quello di crisi e quello di crescita.
Per molti il termine "crisi", riferito all'attuale contesto economico, rimanda all'idea di una difficoltà temporanea, anche se di lungo periodo; una sorta di patologia fisiologica del sistema economico, della quale stiamo subendo il decorso. Questo tipo di approccio induce alla ricerca di una "medicina" che curi la malattia, e ad un atteggiamento di "attesa": per esempio l'attesa che cambi l'orientamento di politica economica della Germania, che vengano realizzate le riforme in Italia, e così via.
Per altri - e noi siamo tra questi - la crisi che stiamo vivendo è il travaglio di una transizione verso un nuovo modo di produrre, di vendere, di consumare, di vivere. Questo tipo di approccio, pur senza sottovalutare l'incidenza fondamentale degli aspetti di sistema (le riforme) e delle politiche macroeconomiche, porta a porre l'accento sulla rilevanza delle risposte individuali alla transizione in atto.
La fine della crisi viene individuata nel ritorno alla "crescita economica", altro concetto che merita alcune puntualizzazioni, perché in molti evoca ancora - soprattutto in Italia - l'esperienza di quell'inteso periodo che, nella seconda metà del Novecento, si è caratterizzato per una competitività "di sistema" capace - di fatto - di garantire il buon esito di qualunque iniziativa economica sensata, se svolta con impegno.
Questa idea di crescita è fuorviante, perché può facilmente portare ad invertire l'ordine nel rapporto causa - effetto: il superamento dell'impasse attuale non originerà da una recuperata effervescenza del sistema che possa "trainare" la ripresa delle iniziative economiche, ma - piuttosto - da un recupero di competitività delle iniziative economiche, che potrà trascinare la crescita dell'economia del Paese.
E qui tutti sappiamo che recupero della competitività oggi, nelle economie avanzate, significa in primo luogo incremento della produttività (valore per ora lavorata) e della qualità (valore per prodotto).
Questo, a mio avviso, deve indurci alla prudenza nel considerare preliminare, quando non risolutivo, l'impatto delle (pur auspicate, e necessarie) politiche macroeconomiche: in un mercato aperto e globale, il sostegno alla domanda interna non garantisce incrementi di fatturato alle imprese nazionali, se queste non sono sufficientemente competitive da intercettare l'accresciuta domanda; e quando sono sufficientemente competitive, le imprese nazionali sono anche meno esposte alla contrazione della domanda interna, perché hanno il mondo come mercato potenziale.
A questo punto della riflessione è facile marcare la continuità concettuale di questo Forum con quello dello scorso anno.
Come molti di voi ricorderanno, tema portante della prima edizione del Forum sono state le metamorfosi in atto negli attori economici che animano la nostra regione, metamorfosi che avevamo individuato nelle nuove strategie di evoluzione della loro competitività.
Avevamo concentrato la nostra attenzione sugli effetti della transizione da una competitività "di sistema" (legata in larga parte a fattori esogeni alle singole imprese) ad una competitività "di impresa" legata a fattori endogeni a ciascuna azienda.
Ed è qui che si allaccia il filo tra i temi del nostro incontro di oggi e quelli del Forum precedente: la metamorfosi che avevamo individuato, intesa come processo di ridefinizione della strategia competitiva delle imprese, vede nella digitalizzazione, e nel ripensamento dei modelli di governance (specie per le imprese medio - piccole) due risposte centrali alla sfida della crescita.
La digitalizzazione ha il potenziale per incidere in modo diretto tanto sull'incremento di produttività quanto sull'incremento di valore.
Declinata sulle imprese tradizionali, fino a non molto tempo fa la si poneva in relazione essenzialmente con le iniziative di e-commerce (nelle quali peraltro il nostro Paese sconta ancora un grave ritardo). Ora si inizia a percepire in modo sempre più chiaro come anche per le imprese tradizionali (non ITC, per intenderci) il digitale stia determinando un'autentica rivoluzione culturale, il cui impatto va ben oltre il modo di comunicare e di vendere.
L'idea che, invece di spedire all'altro capo del mondo un pezzo di ricambio, si possano spedire le informazioni che consentiranno di realizzare il pezzo sul posto grazie alla stampa tridimensionale, porta a ripensare il prodotto fin dalla sua progettazione e dalla scelta dei materiali, oltre che la logistica ed il servizio post-vendita.
Le possibili applicazioni della tecnologia di stampa tridimensionale sono straordinarie, e sfidano la nostra capacità di immaginazione: qualche giorno fa ho visto in rete la galleria delle sculture che la società Sugar Lab realizza in zucchero, attraverso la stampa 3D. Forme artistiche o personalizzate al posto della zolletta. Ecco una nuova nicchia di mercato!
Creatività, immaginazione, iniziativa: sono qualità che l’era digitale presuppone ed esalta. Quale sfida migliore per il made in Italy? E' assolutamente necessario puntare al superamento del divario culturale che impedisce alle nostre imprese di sfruttare appieno queste opportunità.
Quanto al fattore dimensionale, il punto non è se “piccolo è bello” oppure no, ma se la dimensione consente all’impresa di attuare le strategie necessarie a recuperare competitività, vale a dire – lo ricordavamo prima – incremento della produttività e della qualità.
La nostra regione, ed il nostro Paese, hanno prosperato - nei decenni trascorsi - grazie alle tante piccole imprese nate intorno alla capacità intuitiva e alla forza di volontà dell'imprenditore dal quale originavano. Esperienze straordinarie e vincenti, ma che in molti casi non sono riuscite, nel tempo, a sottrarsi ai limiti di una cultura aziendale che rischia di trovarsi alle corde quando il perseguimento della dimensione ottimale (sotto il profilo della produttività e della qualità) metterebbe a repentaglio il controllo al 100% della famiglia, o quando il rafforzamento della struttura manageriale implicherebbe un ridimensionamento del ruolo dell’imprenditore nella governance dell'impresa.
In questo senso il “fattore dimensionale” è prima di tutto culturale: in che misura la piccola dimensione è scelta - perché efficace in relazione al proprio modello di business -, e in che misura è invece subita per impossibilità o indisponibilità ad affrontare le implicazioni del processo di crescita dimensionale?
Dati di fonte Eurostat ci dicono che nelle imprese italiane con più di 250 addetti la produttività è circa il triplo di quella delle imprese con meno di 10 addetti.
Il fattore dimensionale incide sugli investimenti, che a loro volta si riflettono sulla produttività e sulla qualità.
L’impresa piccola tende ad essere più opaca, e questo rende più difficile il suo accesso al credito ed improbabile la possibilità di forme di finanziamento alternative.
In sintesi, il punto centrale non è quanto l’impresa sia grande o piccola, ma quanto è produttiva, quanto riesce ad esportare, quanto è capace di incorporare il nuovo, quanto è disposta ad essere trasparente, quanto riesce a separare - se necessario - il proprio destino da quello della famiglia.
Ed è un dato di fatto che spesso la piccola dimensione non facilita nel raggiungimento di questi obiettivi.
Mi auguro, con questa breve introduzione, di essere riuscita a rendere il senso della scelta dei temi del nostro incontro di oggi.
Digitalizzazione e fattore dimensionale - dunque - come possibili risposte alla sfida della crescita.
La scelta se concentrarci solo sull'uno o sull'altro di questi due temi è stata oggetto di una partecipata e approfondita discussione in seno al nostro Consiglio di Territorio. Le ragioni e la rilevanza di ciascun tema sono state tanto ben articolate, dai rispettivi sostenitori, da rendere difficile la scelta a favore dell'uno o dell'altro. Alla fine ne abbiamo colto le correlazioni, ed abbiamo dunque deciso di affrontarli entrambi, nella prospettiva che - in rappresentanza del nostro Consiglio - vi ho brevemente tracciato.
*
Avviandomi alla conclusione, vorrei riannodare un ultimo filo con il nostro Forum precedente. Lo scorso anno avevamo evidenziato come il processo di ridefinizione delle strategie competitive delle imprese assuma rilevanza anche nel rapporto tra imprese e istituti di credito, perché strettamente correlato con il merito creditizio, e - da ciò - avevamo sottolineato l'importanza che le banche affinino al meglio la loro capacità di leggere, in prospettiva, le "strategie" vincenti delle imprese.
Affinare la capacità di leggere le potenzialità dei soggetti ai quali si eroga il credito: su questo tavolo si gioca oggi una parte essenziale della competizione tra le banche, orientate in questa direzione anche dalla scelta degli strumenti di intervento della BCE.
Oggi possiamo dire che Unicredit dimostra di avere raccolto la sfida anche su questo terreno: la modalità di interazione introdotta con il modello operativo "Corporate Star" va esattamente nella direzione auspicata, incrementando la conoscenza analitica delle imprese selezionate.
Certo, resta il nodo della clientela più piccola, sulla quale comunque si percepiscono gli sforzi in atto per aumentare - nella rete - la capacità di "leggere" l'impresa, il suo prodotto, il suo mercato, le sue strategie (questo è un tema di confronto ricorrente, con la nostra Regional, dentro e fuori il Consiglio di Territorio).
Consiglio al quale voglio esprimere il mio sincero ringraziamento: le nostre riunioni anche quest'anno sono sempre state largamente partecipate; il clima è ampiamente collaborativo; il dibattito è franco, diretto e propositivo.