La concorrenza sleale per storno di dipendenti

La concorrenza sleale per storno di dipendenti

Accade spesso che gli argomenti selezionati per essere trattati nella rubrica dell’approfondimento del mese traggano spunto da una reale richiesta di parere pervenuta ai professionisti dello studio da parte di uno o più clienti. È questo il caso del tema che abbiamo deciso di esaminare nella prima newsletter del 2024.

È lecito assumere dipendenti che prestavano la propria attività presso un’impresa concorrente?

Per rispondere in modo compiuto occorre anzitutto precisare che nel nostro ordinamento vigono i principi, costituzionalmente garantiti, di libera circolazione del lavoro (art 4 Cost.) e della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.); inoltre, secondo l’art 2118 del Codice Civile, i lavoratori sono liberi di recedere dal contratto di lavoro.

In linea generale quindi, qualunque impresa, nel rispetto del sopra citato principio di libertà dell’iniziativa economica riconosciuto dalla nostra carta costituzionale, può liberamente assumere dipendenti che abbiano precedentemente lavorato per un’impresa concorrente. Allo stesso modo, qualunque lavoratore è libero di rassegnare le proprie dimissioni all’azienda per cui lavorava e iniziare a prestare la propria attività presso un’impresa concorrente (fatto salvo i casi in cui sia stato stipulato con la prima azienda un patto di non concorrenza in virtù del quale il lavoratore si è impegnato a non svolgere attività in concorrenza per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro precedente).

Tanto premesso, ci si chiede dunque: quando i descritti comportamenti divengono illeciti ed integrano gli estremi della concorrenza sleale per storno di dipendenti?

L’articolo 2598 comma primo n. 3) del Codice Civile qualifica come “atti di concorrenza sleale” le condotte dell’imprenditore che risultino non conformi ai principi di correttezza professionale e idonee a danneggiare l’altrui azienda.

Se la definizione offerta dal Codice Civile vi appare poco chiara, se non enigmatica, non affliggetevi.

Nel corso del tempo la giurisprudenza è intervenuta molte volte occupandosi di identificare il discrimine tra la lecita acquisizione di lavoratori da parte di un’azienda - frutto di una sana dinamica fisiologica del mercato - e ciò che invece costituisce un atto illecito di concorrenza sleale operato sotto la forma, appunto, dello storno di dipendenti. Si tratta del cosiddetto animus nocendi ovvero nella necessaria sussistenza di uno specifico intento di danneggiare l’impresa concorrente privandola intenzionalmente di elementi indispensabili, o quantomeno utili, al buon andamento dell’azienda.

Tale criterio non richiede che venga sondato l’elemento psicologico del soggetto al fine di verificare che in esso sussista o meno questa finalità, si tratta bensì di esaminare la situazione oggettiva e analizzare se nel singolo caso si verifichino una serie di indici specifici dai quali derivi una duplice condizione:

  • Da un lato l’azienda c.d. stornata dovrà trovarsi in una situazione di difficoltà conseguente alla perdita di dipendenti e collaboratori – insostituibili o comunque difficilmente sostituibili in quanto dotati di competenze particolarmente qualificate – da cui derivi all’impresa una reale perdita nella propria attività di offerta sul mercato non mitigabile con un’adeguata riorganizzazione aziendale;
  • Dall’altro lato, l’impresa stornate, grazie ai nuovi dipendenti, dovrà entrare in possesso di conoscenze tecniche e specialistiche che senza lo storno illecito avrebbe potuto raggiungere solo facendo fronte a tempi e costi di investimenti in ricerca e formazione de personale.

Sempre grazie alle pronunce giurisprudenziali è stato possibile individuare alcuni indici presuntivi al ricorrere dei quali è ragionevole sostenere la configurazione dell’illecito di storno di dipendenti.

Tra i vari ricordiamo i principali:

  • le particolari caratteristiche, qualità o rilevanza del dipendente stornato per l’impresa in cui quest’ultimo prestava la propria opera; il dipendente deve essere altamente qualificato, in modo da condizionare profondamente l’esistenza dell’azienda, in fruizione al suo concreto impiego nella stessa;
  • il numero consistente di dipendenti stornati, in relazione al numero complessivo di personale addetto a un determinato settore o all’interno impresa;
  • il lasso temporale ristretto in cui si verifica il passaggio di personale dipendente da un’azienda ad un’altra;

senza dimenticare anche

  • i metodi adottati per convincere i dipendenti a passare a un’impresa concorrente (ad esempio, la denigrazione del datore di lavoro danneggiato e l’induzione a violare l’obbligo di fedeltà in costanza del rapporto di lavoro dei dipendenti stornati);
  • le dimissioni senza osservare il periodo di preavviso da parte dei dipendenti stornati;
  • il medesimo settore di impiego assegnato al lavoratore stornato presso il nuovo datore di lavoro;
  • la sottrazione di informazioni e documenti aziendali da parte dei dipendenti stornati;
  • l’immediata destinazione dei lavoratori stornati alla frequentazione della medesima clientela.

Va da sé che la ricorrenza di quanti più indici possibili renderà maggiormente solida l’accusa di concorrenza sleale mediante storno di dipendenti.

Perché si verifichi l’atto illecito tra le due imprese (stornante e stornata) deve inoltre sussistere un rapporto di concorrenzialità da intendersi quale comunanza di mercato o di clientela.

L’ordinamento prevede un rimedio a favore dell’azienda che abbia subito lo storno di dipendenti riconoscendole la facoltà di richiedere all’impresa c.d. stornante il risarcimento del danno patito.

Il diritto ad ottenere il ristoro di tale danno tuttavia, presuppone l’assolvimento di un duplice onere probatorio da parte dell’azienda richiedente: l’impresa che sostenga di aver subito la concorrenza sleale dovrà anzitutto (i) provare l’illiceità della condotta altrui, perpetrata con le finalità descritte in precedenza (animus nocendi) nonché (ii) dimostrare il danno subito quale conseguenza dell’illecito storno di dipendenti.

 

Avv. Francesca Paris

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