“La tutela del concept store come opera dell’architettura: il caso Kiko”
Recentemente una importante sentenza della Corte di Cassazione ha ridefinito i confini del diritto d’autore nell’ambito della tutelabilità dei progetti di arredamento di interni dei c.d. Concept Store, ritenendoli opere dell’architettura.
Anzitutto, il Concept Store è un nuovo concetto di negozio, progettato con una maggiore attenzione all’esperienza sensoriale per i clienti, i quali si troveranno immersi in una pluralità di emozioni provenienti sia dalla varietà di prodotti esposti, sia dall’architettura stessa dell’ambiente, che dovrà essere universale per tutti gli store appartenenti a quel marchio.
Pertanto, sempre più aziende operanti nel settore retail cercano di proteggere l’identità del proprio store e i relativi investimenti profusi al fine di creare un concept distintivo e accattivante, dove luci, musica, aromi, colori, arredo, posizionamento dei prodotti e architettura giocano un ruolo fondamentale nella filosofia aziendale.
La Kiko S.r.l., nota azienda che si occupa di produzione e commercializzazione di prodotti cosmetici e di profumeria, nel 2005 aveva affidato ad uno studio di architettura il compito di realizzare un nuovo concept dei negozi Kiko, depositato poi come modello presso l’UIBM[1].
Il concept dei negozi Kiko è così delineato: un ingresso open space con ai lati due grandi grafiche retroilluminate, con espositori laterali in plexiglass consistenti in strutture continue e inclinate dove sono inseriti i prodotti; al centro del negozio sono collocate “isole” dal bordo curvilineo per contenere i prodotti o fornire piani di appoggio; numerosi schermi TV incassati negli espositori inclinati; predominante l’uso della combinazione dei colori bianco, nero, rosa/viola; e luci ad effetto discoteca.
Nel 2013, la Kiko S.r.l. aveva convenuto in giudizio la Wycon S.p.A., altra nota azienda nel settore del make-up, sostenendo che quest’ultima aveva indebitamente ripreso l’aspetto visivo dei suoi concept store, violando in particolare l’art. 2 n.5 Legge diritto autore.
Alla luce dello scenario sopraesposto, la Corte di Cassazione[2], in ultima istanza, ha dovuto affrontare la seguente questio iuris: il concept store può accedere alla tutela autorale prevista per le opere dell’architettura anche se i singoli elementi d’arredo che lo costituiscono sono semplici o comuni e già utilizzati nel settore dell’arredamento di interni, ovvero no per mancanza di effettiva creatività e originalità tutelabile sotto il profilo del diritto d’autore?
Come è noto, il diritto d’autore –disciplinato a livello nazionale dalla Legge n. 633 del 22/04/41– è uno strumento molto flessibile per la tutela delle opere dell’ingegno. In particolare, ai sensi dell’art. 2 l.d.a., sono comprese nella protezione autorale, ove nuove e dotate di carattere creativo (seppur minimo): opere letterarie, composizioni musicali, opere coreografiche, opere d’arte, opere dell’architettura, opere cinematografiche, opere fotografiche, programmi per elaboratore, banche dati, opere del disegno industriale.
All’interno della presente trattazione vengono in rilievo le opere dell’architettura. Nell’accezione tradizionale, l’architettura è l’arte del progettare e del costruire immobili. Oggigiorno, tuttavia, la nozione di architettura è da intendersi in senso più estensivo, in modo da ricomprendervi anche quell’attività intellettuale rivolta alla creazione e modificazione degli spazi per renderli fruibili all’uomo, nell’ambiente fisico, nel territorio e paesaggio, nelle città, nell’edilizia ed anche nell'organizzazione degli interni. L’opera di architettura è tutelabile se dotata di (1) carattere creativo –modo personale con cui l’autore ha costruito, organizzato e realizzato l’opera– e (2) valenza estetica –le forme non devono essere necessitate dalla soluzione di un problema tecnico-funzionale.
Invero, sulla scorta delle sopradette considerazioni, la Corte di Cassazione ha riconosciuto tutela autorale al design del negozio della Kiko, in quanto forma espressiva creativa e originale.
La Suprema Corte ha quindi formulato il seguente principio di diritto: “in tema di diritto d’autore, un progetto o un’opera di arredamento di interni, nel quale vi sia una progettazione unitaria, in uno schema in sé visivamente apprezzabile, che riveli una chiara «chiave stilistica», di singole componenti organizzate e coordinate per rendere l’ambiente funzionale ed armonico, ovvero l’impronta personale dell’autore, è proteggibile come progetto di opera dell’architettura («i disegni e le opere dell’architettura»), a prescindere dal fatto che gli elementi singoli di arredo che lo costituiscano siano o meno semplici ovvero comuni e già utilizzati nel settore, purché si tratti di un risultato di combinazione originale, non imposto da un problema tecnico-funzionale che l’autore vuole risolvere.”
In altre parole, il concept store può essere protetto dal diritto d’autore, come opera dell’architettura, a patto che dal progetto sia identificabile la firma personale e originale del suo autore - da ravvisarsi nella combinazione e nella coordinazione dei singoli componenti d’arredo (ad es. colore delle pareti, illuminazione, utilizzo di determinati materiali, le dimensioni e le proporzioni) – non dettata dall’esigenza di superare un problema di carattere tecnico-funzionale.
In sintesi, tale sentenza potrà risultare di grande importanza nell’evoluzione della tutela IP dei concept store e stimolare le aziende a proteggere con i mezzi più appropriati il loro arredamento di interni frutto di ingenti investimenti volti all’identificazione di un’attività commerciale.
Dott.ssa Paola Colle
[1] “Design di arredi di interni per negozi monomarca Kiko Make-up Milano,” modello No. 91752. https://www.uibm.gov.it/bancadati/Advanced_search/type_url?type=ds&cl=1.
[2] Corte di Cassazione civile, sez. I, No. 8433/2020.