L’abuso di posizione dominante: la fattispecie dell’abuso escludente
Il diritto della concorrenza, anche detto Antitrust, ha lo scopo di tutelare la libera concorrenza, e perciò vieta quelle condotte delle imprese che possono distorcere quest’ultima. Il fine ultimo è tutelare i consumatori finali, garantendo loro di poter scegliere liberamente i prodotti sul mercato.
Tra queste condotte vi sono, da una parte, le intese tra imprese (i c.d. cartelli) - forse le più diffuse e conosciute - dall’altra l’abuso di posizione dominante.
In quest’ultima rientra anche il caso del c.d. abuso escludente che, come vedremo, mira a escludere concorrenti - potenziali o effettivi - dal mercato.
La posizione dominante e l’abuso
Un’impresa detiene una posizione dominante quando può comportarsi in modo significativamente indipendente dai concorrenti, dai fornitori e dai consumatori. Ciò avviene, in genere, quando detiene quote elevate in un determinato mercato.
La posizione dominante di per sé non è illecita: ciò che è vietato dall’articolo 3 della legge n. 287/90 è l’abuso di tale posizione.
L’abuso si concretizza quando l’impresa sfrutta la posizione dominante e falsa la libera concorrenza, così causando un danno ai concorrenti e da ultimo ai consumatori.
Nella pratica, vi è un abuso quando l’impresa mette in atto condotte atte a:
- imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
- applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
- subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
Un’impresa che si trova posizione dominante ha quindi la speciale responsabilità di non adottare un comportamento che possa essere considerato abusivo e deve agire in modo da non impedire ai concorrenti di competere efficacemente.
Le imprese in posizione dominante devono quindi astenersi, a titolo di esempio, da:
- applicare prezzi irragionevolmente elevati;
- praticare prezzi irragionevolmente bassi (c.d. predatori), per espellere i concorrenti dal mercato;
- operare discriminazioni ingiustificate tra clienti;
- applicare sconti fidelizzanti privi di giustificazione commerciale, al solo fine di fidelizzare il cliente a discapito dei concorrenti;
- imporre condizioni commerciali ingiustificate ai
L’abuso escludente
Tra le fattispecie di abuso di posizione dominante vi è anche il c.d. abuso escludente.
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 9 del 02/01/2024, definisce chiaramente questa fattispecie: l’abuso escludente sussiste “quando la pratica realizzata da un’impresa in posizione dominante sia idonea a produrre un effetto escludente e sia basata sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza normale […], tali essendo quelli per i quali non vi è alcun interesse economico se non quello di eliminare i concorrenti per poter poi rialzare i prezzi, traendo profitto dalla situazione di monopolio, sì da pregiudicare la penetrazione o il mantenimento sul mercato di imprese concorrenti in ragione del merito”.
Nel caso di specie, una società farmaceutica aveva proposto domanda di brevetto divisionale e di certificato di protezione complementare molti anni dopo il brevetto originario, al solo scopo di estendere per altri due anni la privativa di detto brevetto ormai in scadenza.
Inoltre, la società aveva tentato anche attraverso diffide e contenziosi giudiziari di ritardare, come poi è accaduto, l’ingresso nel mercato italiano del farmaco generico.
Tale condotta ha permesso alla società di continuare ad usufruire per altri mesi dell’esclusiva nell’uso del principio attivo, e tutto ciò a danno del Servizio Sanitario Nazionale che ha dovuto, per tale periodo, continuare a rimborsare il prezzo del farmaco alla società stessa, più elevato rispetto ad un generico.