Sottoprodotto: L’onere della prova e il ruolo dei contratti di fornitura
La gestione degli scarti e dei residui di produzione come sottoprodotti, e non come rifiuti, riveste un’importanza non da poco vista la necessità sempre più pressante di una maggiore sostenibilità nella gestione di tali materiali, e in particolare della necessità di basare tale sostenibilità sulla c.d. Circular Economy, come imposto d’altronde dai criteri c.d. ESG.
Con la Sentenza n. 211 del 8 marzo 2023 proprio a Brescia, la sezione distaccata del TAR Lombardia ha ribadito che la qualifica di sottoprodotto non dipende tanto dalle caratteristiche intrinseche del materiale, quanto piuttosto dal soddisfacimento delle condizioni giuridiche stabilite all’art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale - TUA). La sussistenza di tali condizioni deve essere dimostrata dal detentore del materiale, e, in particolare per quanto riguarda il requisito della certezza del riutilizzo, può essere data anche attraverso i contratti di fornitura.
Nel caso di specie, il TAR ha rigettato il ricorso di una società contro un provvedimento della provincia di Mantova.
La società in questione gestisce un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili. La provincia le aveva ordinato, tra le altre richieste, di fornire i contratti in forza dei quali erano stati conferiti all’impianto reflui zootecnici al fine di verificare se si trattasse di rifiuti o di sottoprodotti.
La gestione di un sottoprodotto, infatti, differisce significativamente dalla gestione dei rifiuti.
Rifiuto o Sottoprodotto?
La definizione di rifiuto è prevista all’art. 183, comma 1, lettera a) del TUA come: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Ai sensi dell’art. 184-bis del TUA, il sottoprodotto è, invece, quella sostanza che soddisfa contemporaneamente le quattro condizioni ivi previste:
- a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante ed il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
- b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
- c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
- d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Qualora manchi anche una sola delle condizioni prescritte dalla norma, il materiale è da considerare come rifiuto e come tale deve essere gestito.
Se, invece, lo scarto o il residuo soddisfa tutte le condizioni previste dall’art. 184-bis (condizioni ritenute cogenti dalla Corte di Cassazione – sentenza n. 9056/2020), è importante e necessario essere in grado di dimostrarlo con certezza.
La sentenza
Con la sentenza sopra citata il giudice amministrativo ha ribadito che l’onere della prova ricade sull’impresa che vuole utilizzare quel materiale come sottoprodotto e che i contratti di fornitura del materiale sono funzionali a tale prova.
Invero, la sentenza sopra citata afferma:
Premesso che la qualificazione di un materiale come sottoprodotto non attiene alle caratteristiche intrinseche di quel materiale, ma al soddisfacimento di una serie di condizioni giuridiche – sicché uno stesso materiale può costituire rifiuto o sottoprodotto a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni stabilite dall’articolo 184-bis D.L.vo 152/2006 -, è legittima la richiesta dell’Autorità Competente di produrre i contratti di fornitura, in quanto funzionali alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 184-bis, in particolare quello della certezza dell’utilizzo del materiale.
Infatti, non è l’Autorità Competente a dover dimostrare che un dato materiale costituisce rifiuto, ma è l’impresa che vuole utilizzare quel materiale come sottoprodotto a dover dimostrare che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 184-bis D.L.vo 152/2006”.
Il giudice amministrativo, nel caso di specie, si riferisce in particolare alla caratteristica di cui alla lettera b) dell’art. 184-bis - la certezza dell’utilizzo del materiale nel corso di un processo di produzione.
Rilevante importanza viene data ai contratti di fornitura, i quali sono infatti considerati “funzionali alla verifica della sussistenza delle condizioni” previste dalla norma.
Il Decreto Ministeriale 246/16* (DM), infatti afferma al comma 4 dell’art. 5 che “costituisce elemento di prova l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori”.
Tuttavia, lo stesso DM all’art. 4 fa “salva la possibilità di dimostrare, con ogni mezzo ed anche con modalità e con riferimento a sostanze ed oggetti diversi da quelli precisati nel presente decreto, o che soddisfano criteri differenti, che una sostanza o un oggetto derivante da un ciclo di produzione non è un rifiuto, ma un sottoprodotto”.
I rischi
Qualora la società non riesca a dimostrare che quel materiale è qualificato come sottoprodotto, il rischio è l’imputazione della commissione del reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 c.p.) o del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.).
Entrambi questi reati sono reati-presupposto previsti dal D.Lgs. 231/2001, implicando quindi, se accertati, una responsabilità amministrativa da reato della società.
*Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti.